CENNI BIOBIBLIOGRAFICI
EROS BONAMINI, Verona 1942-2012
Fin dai suoi esordi, agli inizi degli anni Settanta, nella ricerca di Eros Bonamini si palesavano consapevolezza e coerenza, unite in una ricerca continuativa ed in costante tensione progettuale. Non a caso, Giorgio Cortenova, il primo a leggere con lucidità il lavoro dell’artista, sottolinea in lui “(…) una prassi lavorativa empirica, nutrita di quello scetticismo di base che è uno degli aspetti qualificanti del nostro tempo (…) quel tentare e ritentare il campo caratteristica di un’operatività che è divenuta professione quotidiana, rifiuto “tout-court” del gesto dirompente ed artistico (…)”. Era il 1975, Bonamini esponeva le sue Tabelle pittoriche nella veronese Galleria dello Scudo: opere inaugurali dell’intero suo percorso creativo, campi monocromi l’uno in successione all’altro, capaci di porre in discussione, fino all’ipotesi d’abbandono, le possibilità rappresentative del dipingere; opere come “mappe” e registrazioni di un tempo “effettivo del fare”, delle tracce che l’artista, con strumenti, materiali ed interventi segnici di natura diversa, ha negli anni verificato; opere, infine, come verifiche del vissuto, del passato e della storia personale e collettiva, computo del tempo individuale nel procedere del tempo universale.
Da questi assunti concettuali di base derivano le serie dei Cementi, dei nastri e degli inchiostri, realizzate fra il 1975 e il 1978. L’artista sceglie di abbandonare il pigmento ad olio, privilegiando i materiali poveri, come il cemento ed il collante, scelti per indagarne il processo di indurimento, agendo su di essi con incisioni di forma e pressione costanti: il risultato è la successione di tracce che tendono alla sparizione, mano a mano che il processo di essiccazione si completa. Attorno al 1977, il segno tracciato sul cemento è sostituito da strisce di stoffa imbevute d’acqua ossigenata (dal potere decolorante), immerse ad intervalli di tempo successivi in un bagno d’inchiostro e successivamente esposte, l’una accanto all’altra, a delineare una mappa del processo creativo.
Il tema dell’assorbimento, della compenetrazione fra inchiostro e superficie, quali metafore attive dei valori di spazio e tempo: rifiutando l’azione del dipingere con sempre maggiore fermezza, Bonamini sceglie la computazione dell’azione concettuale, la verifica della sua trascrizione formale e del suo potenziale estetico.
All’inizio degli anni Ottanta, la scelta approda all’osservazione ed al calcolo della capacità della tela di impregnarsi di colore, per contatto o iniezione. Strumenti iniziali sono i pennarelli con punte differenti, che permettono iterazioni narrative verbali legate all’operatività e al tempo. La seconda soluzione adottata è quella dell’iniezione diretta del colore diluito sulla tela.
Da qui deriva la serie delle pitture per assorbimento, destinate a venire superate, nel 1983-84, da un altro ciclo di opere formate in modo più articolato, con segni, colori, scritture e gesti accostati e sovrapposti in una sorta di repertorio stratigrafico di interventi. Nello stesso giro di anni, prendono la luce le Cronotopografie (letteralmente scritture di spazio e tempo) formate da una serie di motivi elementari a sequenza – punti, linee, greche, segni, labirinti, spirali e anche scarabocchi – chiamati a saturare un campo. Dalla concentrazione alla rarefazione delle scritture, fra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, Bonamini approda ad opere di grandi dimensioni, sulle quali verificare un’azione variabile: il momento nevralgico avviene ora nell’accorpamento delle singole tele, nella loro disposizione sulla parete, sia nella soluzione della sovrapposizione che in quella dell’adiacenza. É del 1993 l’importante pubblicazione, e la relativa tavola rotonda a Palazzo Forti, Verona, sulle ricerche dell’artista, da allora complessivamente definite Cronotopografie. Come infatti congiuntamente sottolineano i relatori invitati, Caramel, Veca, Miccini e Cortenova, pur nella diversità degli esiti Bonamini mantiene in ogni opera un’analoga identità d’approccio, derivante dalla linea analitico-concettuale degli anni Settanta. Rintracciando e perfezionando l’analisi delle costanti del suo lavoro, sempre teso ad unire il livello empirico con quello teorico e speculativo, la critica chiarisce ulteriormente l’assenza di rimandi metaforici, allusivi e simbolici nella sua opera (che avrebbero potuto essere, a prima vista, rintracciati nelle forme portanti della spirale, del grafo e della sua ripetizione, della linea) riconoscendovi invece la priorità del ” (…) tempo del fare e del farsi delle materie“, come segnalò Eugenio Miccini, e la ” (…) relatività rispetto a un altro assoluto, similmente estromesso dai confini dell’umano: l’eterno. Come l’universo di Einstein, i campi di Bonamini sono illimitati ma finiti (…) Alla diffidenza regressiva di tante grammatiche “minimaliste” Bonamini mette in scena ciò che si racconta, intrattiene l’occhio e la mente sulle magnifiche assenze della verità.“.
Decantata l’esuberanza segnica e cromatica durante gli anni Novanta, l’artista prosegue la sua ricerca sulle Cronotopografie in diverse direzioni: da quelle pittoriche, caratterizzate da una costante tendenza alla semplificazione, agita mediante segni minimali e leggeri, con una tavolozza dove dominano il bianco, il grigio profondo ed il nero; a quelle realizzate con i plexiglas, neutri o colorati, dove le tracce del tempo si traducono in precise sequenze di cicatrici puntiformi e labirintiche, oppure in slabbri e orli combusti; a quelle costruite con la furia dell’azione sui metalli specchianti, dove l’oggetto contundente è metronomo dell’azione reiterata e violenta, fino a far presagire la catarsi, dell’artista sulla materia, mentre la superficie, specchiante e deformante, sempre più coinvolge anche lo spettatore nel processo di consumo del tempo e di esistenza nello spazio.
Accanto alla ricerca sui metalli specchianti e diversamente segnati dall’azione del tempo, è la recente indagine sulle carte e sulle tele bruciate, frequentemente di forma circolare, sovrapposte le une sulle altre in composizioni che contemplano dittici di ampie dimensioni, verificando il confronto di linguaggio e di temporalità tra pitture, bruciature, addensamenti e rarefazioni nei perimetri del supporto. Cronotopografie destinate a rileggere una volta ancora la storia dell’arte dal secondo dopoguerra, ora indagando la tensione all’oltre in chiave spazialista, ora rivendicando il potere del linguaggio, in una relazione dialettica tra materia e segno dove il tempo è comune denominatore, utilizzato da Bonamini in una modalità sempre coerente e immediatamente riconoscibile.
Recente anche l’applicazione del neon, quale elemento chiamato a sottolineare il passaggio temporale, l’enfasi creativa e il rigore concettuale dell’azione dell’artista sul supporto: in nome di un’opera, dunque, quale risultato “(…) di due entità (il “calore” dell’emotività e la “freddezza” della logica) che possono essere confrontate fra loro (…)”. Non poteva esservi migliore definizione, se non quella offertaci da Bonamini stesso, per chiudere, e riaprire, un percorso di lettura sulla sua ricerca ormai quarantennale.
Ilaria Bignotti, Agosto 2015
Di lui hanno scritto, tra gli altri, Mario Bertoni, Ilaria Bignotti, Corrado Bosi, Luciano Caramel, Claudio Cerritelli, Giorgio Cortenova, Giorgio Di Genova, Gianpaolo Ferrari, Licisco Magagnato, Marco Meneguzzo, Filiberto Menna, Antonella Montenovesi, Patrizia Nuzzo, Anna Maria Sandonà, Toni Toniato, Alberto Veca.
Le sue opere si trovano in prestigiose collezioni pubbliche e private, tra le quali si ricordano la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Palazzo Forti di Verona, il Mart di Rovereto, il Museo d’Arte delle Generazioni Italiane del ¢900 “G. Bargellini” di Pieve di Cento, il Museion di Bolzano, il Museo Casabianca di Malo.